Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate (Salmo 41)
Un senso di angoscia: una bocca spalancata sotto i piedi che attende famelica la nostra caduta. Il vuoto sotteso ai nostri piedi che avvolge i nostri passi. Un’incombente disgregazione fisica, la perdita delle forze o l’inutile rivolta al destino incombente. Vedi il mondo, gli ideali, gli affetti scomparire alla presenza dell’abisso. Non rimane più niente. Una potenza avvolgente che spegne la luce, un vento impetuoso che annichilisce la nostra resistenza. Il silenzio dell’abisso che regna indisturbato sulla flebile ricerca di un piacere triste e inappagante. Il volto imperscrutabile dell’abisso che annulla le visioni, i sogni, i progetti. Le mani fluttuanti dell’abisso che arrivano dovunque tu voglia edificare, seminare o riposare. L’abisso: la potenza metafisica scatenata dall’ordine perverso di un regno collassato. L’abisso non è il male. L’abisso sono io.
Nella Teogonia di Esiodo, le muse raccontano che in principio era Caos:
1 Questo cantatemi o Muse, che abitate le olimpie dimore,
2 fin dal principio, e ditemi quale per primo nacque di loro.
3 Dunque, per primo fu Caos, e poi
4 Gaia dall’ampio petto, sede sicura per sempre di tutti
Il cosmo prima di essere ordinato era dominato da una potenza infinita, l’essere spalancato al mondo, preesistente alle regole della natura, la terra inanis et vacua della Bibbia. Anche Anassagora descrive una mescolanza di tutte le cose, precedente l’ordine razionale e fisico. Il caos non è propriamente disordine ma ciò che precede la creazione e porta con sé il bisogno di fecondità. In altre parole la percezione dell’abisso caotico non dovrebbe essere a priori negativa o malvagia. L’abisso non è oscurità ma potenza generativa in attuazione. Eppure temiamo l’abisso: temiamo la sparizione della nave che ci trasporta verso porti inospitali, temiamo la resa del cavallo nel tramonto silvano, temiamo la perdita dei nostri sensi lungamente ingannati. Perché aver paura dell’abisso? La creazione stessa non ha avuto origine da una mancanza originaria? E se l’imminenza del caos non richiamasse l’imminenza del concepimento? La fecondazione di un ovulo non implica la corsa caotica e selvaggia di milioni di spermatozoi? Milioni di caduti e un solo vincitore!
Il caos ci terrorizza perché siamo immersi in un mondo tecnologico, prevedibile e ripetitivo. Evitiamo tutto ciò che ci possa inquietare, limitare, angosciare. I nostri stessi desideri respingono il caos, le passioni sono conformate alle esigenze di mercato. La poesia è muta perché nessuno l’ascolta. Non abbiamo tempo per soffrire, tempo per faticare, tempo da dedicare all’ascolto profondo di noi stessi e del mondo in cui viviamo. Corriamo dritti alla meta dimenticando che la meta sarà la morte. Un grande abisso che il nostro occhio non può scrutare. I nostri occhi malati, incapaci di vedere lontano, incapaci di vedere vicino. Rifiutiamo le forme disarmoniche, non guardiamo in basso per paura di cadere. Siamo esseri celesti decaduti. Vertigine e angoscia.
L’angoscia si può paragonare alla vertigine. Chi volge gli occhi al fondo di un abisso, è preso dalla vertigine. Ma la causa non è meno nel suo occhio che nell’abisso; perché deve guardarvi. Così l’angoscia è la vertigine della libertà. Kierkegaard, Aut-Aut
Eppure i segnali sono numerosi ed evidenti. Il mondo precipita nel fondo degli abissi, aprendo squarci dimensionali sul nostro futuro. La politica, l’economia, la cultura, la religione mantengono le posizioni di guardia in vista di un passaggio inevitabile che sta sopraggiungendo. Alcuni vedranno il giorno che avanza, altri si fermeranno alla notte. Sarà difficile guardare l’abisso senza un abisso che chiama. Un abisso chiama l’abisso al fragore delle tue cascate. Chi riuscirà a sostenere da solo il peso dell’era che si apre? Chi riuscirà a sostenere da solo il peso del suo abisso?