Il ricordo dell’estate felice: sdraiato di notte su un prato a guardare il cielo stellato. I puntini luminosi sono astri ancora integri o è l’ultima luce di un mondo distrutto? I miei occhi vedono la luce dopo centinaia d’anni, forse migliaia. Eppure ritengo che quelle stelle siano ancora lì, perfettamente immutate. Mentre io cambio continuamente, meno brillante dei corpi celesti, nell’illusione di essere vivo. Le stelle guidano nell’oscurità, seppur spente o distrutte. Io a malapena riesco a prendermi cura di me stesso.
Possibile che le stelle riescano a parlare soltanto a chi ha la forza della contemplazione, a chi si mantiene giovane, come si legge nell’incipit de Le notti bianche ?
Era una notte meravigliosa, una di quelle notti che possono esistere solo quando siamo giovani, caro lettore. Dostoevskij
La valenza metafisica delle stelle è innegabile. Ci affidiamo a qualcosa che dista anni luce da noi, certi della sua presenza. Per questo non comprendiamo la meraviglia se non a partire dal cielo, dalle stelle. La nostra interiorità, il nostro modo di approcciarci alla vita è intrinsecamente collegato con ciò che ci sta sopra, con l’orizzonte illimitato che ci comprende. Come scrive Kant in un celebre passo che è stato riportato sulla sua tomba, l’uomo è un essere capace di riempimento.
Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Kant, Critica della Ragion Pura
In queste parole non risuona solamente la meraviglia della scoperta, della conoscenza o la perfezione morale. In queste parole c’è spazio soprattutto per il destino a cui l’uomo è chiamato fin dalla nascita. Ciò che sta sopra, il cielo, e ciò che sta dentro, la legge morale, sono strumenti del compito a cui l’uomo è destinato. Come Abramo, nella promessa di avere una discendenza, si scopre la portata verticale e orizzontale della nostra chiamata alla vita.
Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia. Genesi, 15
Le stelle non sono fatte per essere contate. Le stelle sono la dimostrazione dell’orizzonte sovraumano in cui possiamo ritrovarci. Qualcuno da giovane, altri in età adulta o nella vecchiaia. A volte il cielo si chiude: le stelle ci sono ma non possono illuminare. Il cielo, allora, non rivela la presenza della luce ma dell’oscurità. Può anche essere un bene. Perché le stelle non vanno contate, non vanno possedute, sono il richiamo alla nostra dimensione esistenziale più profonda. Come Dante siamo in viaggio. In mezzo agli inferi, ai dannati, ai salvati, ai penitenti, ai santi. Come Dante siamo in viaggio verso il cielo e uscendo, finalmente, dall’Inferno, con lui usciamo ed esclamiamo:
tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta l’ ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a rimirar le stelle. D. Alighieri, La Divina Commedia