L’uomo contemporaneo ha invece grandi problemi a conoscersi, a rispondere alla grande domanda: “Chi sono?”.
A partire dagli albori dell’età moderna la scienza si è sostituita alla religione e alla metafisica nel tentativo di rispondere a questa domanda fondamentalmente esistenziale. La scienza può dare una risposta parziale perché osserva, analizza e studia solo ciò si riduce a materia o movimento: l’uomo, nella visione scientifica, è dunque legittimato ad osservare se stesso solamente come fenomeno, dato o al massimo come soggetto dotato di una parte materiale e di una immateriale (per Cartesio la res extensa e la res cogitans). Tuttavia, una tale soluzione presuppone la perdita di elementi essenziali. La perdita di un’unità nella quale si possano riconoscere tutte le differenze che comunque emergono nel corso della vita. A partire dal XIX secolo l’uomo ha perduto la sua essenza spirituale e si è ridimensionato nel suo elemento materiale, si è rinchiuso in tutto ciò che lo caratterizza come animale, seppur pensante. Feuerbach ha sintetizzato questa riduzione fenomenologica dell’uomo nella sua famosa frase: l’uomo è ciò che mangia. Come dire che è la materia a generare lo spirito e non il contrario: così è impossibile credere nel dualismo anima-corpo perché siamo fatti della materia che ci circonda. L’uomo è così una specie di organismo fisico input-output: entra cibo ed esce pensiero.
Nel XX secolo le cose sono cambiate. La tecnologia offre oggi alla scienza, di cui è in fondo l’applicazione concreta, un argomento decisivo per affermare le sue pretese ontologiche. La scienza è capace di modificare il mondo e anche di creare nuove realtà. L’uomo non è più creatura ma creatore. Si cominciano a costruire macchine in grado di realizzare concretamente le stesse funzioni degli esseri umani e si iniziano a progettare uomini con gli stessi livelli di efficienza delle macchine, basti pensare alla crescita costante e diversificata dell’intelligenza artificiale. Grazie ai notevoli risultati già raggiunti si è portati a credere che tali funzioni non richiedono l’esistenza di una sostanza non materiale (quale lo spirito) per essere comprese e spiegate. L’uomo è percepito come una macchina e come tale va gestito e potenziato finché i costi di gestione lo permettono. Presto coloro che costeranno troppo saranno “giustamente” terminati. Non è un caso che oggi l’eugenetica rappresenti il banco di prova della nostra umanità. La tecnoscienza non ama limiti, non ama chi possa limitare la creatività del progresso.
A tal proposito nel Protagora di Platone è contenuto il mito di Prometeo. Per rimediare alla creazione di un animale debole e senza doni speciali, Prometeo rubò a Efesto il fuoco e le arti collegate, i principi della tecnica, e ad Atena le arti dell’intelletto, i principi della scienza. Gli uomini cominciarono così a realizzare un gran numero di prodotti artificiali e a fondare delle città sancendo la propria superiorità sugli animali. Tuttavia erano incapaci di vivere in comunità e cominciarono a uccidersi. Zeus, preoccupato per la sorte degli uomini, incaricò Hermes di portare a costoro le virtù politiche della giustizia e del pudore, virtù che furono concesse a ogni uomo individualmente. Attraverso questo mito scienza e tecnica appaiono come segno della superiorità dell’uomo sulla natura. Si sviluppano grazie all’opera di individui particolarmente dotati ma conducono a un risultato funesto se non sono guidate da qualcosa che non è la conformità alla natura, ma piuttosto un’altra qualità unicamente umana, quella della moralità.
Si potrebbe dire che l’uomo è tale non solo perché è dotato di un intelletto superiore ma perché provvisto di una moralità superiore a qualsiasi altro animale. Oggi la scienza e la tecnica hanno consentito agli uomini di realizzare un “villaggio globale” , unificando a livello planetario il genere umano. Ormai questa umanità è sempre più una comunità di storia e di destino. Quale destino? Si cercherà una soluzione nel progresso, in un correre avanti verso un oltreuomo finalmente libero dal limite della malattia, della vecchiaia e della morte? Si entrerà in una fase apocalittica in cui si realizzerà una spaccatura radicale tra uomini ricchi e uomini poveri? Siamo di fronte ad una trasformazione biopolitica, bioetica, biospirituale, in cui l’elemento corporale, materiale, meccanico, sta fagocitando completamente l’essenza trascendente e divina dell’uomo? Dopo l’esasperazione della paura, del senso di colpa, e dell’ignoranza, all’orizzonte forse comparirà nuovamente l’antico motto socratico gnōthi sautón, conosci te stesso. Conosci te stesso non solamente per capire ma soprattutto per agire. Il ritrovamento dell’identità dell’uomo richiede un autentico recupero della sua dimensione di interiorità, perché siamo umani nella nostra essenza e interezza più profonda.