Natale 2024

Adorazione dei pastori è un dipinto del pittore francese Georges de La Tour realizzato nel 1644. L’autore ha vissuto la sua fede e la sua arte lontano dalle grandi città parigine pur avendo già in vita una grande fama. I giochi di luce intorno al bambino mostrano una realtà di adorazione crepuscolare, intima, ritirata. Il bambino è talmente serafico nel suo sonno che i presenti sembrano guardare altrove. Il bambino è semplicemente un bambino, nella sua innocenza. Nella sua debolezza.

Il cristianesimo deve diventare debole per essere forte.

Ad alcuni sembra assurda la prima parte, ad altri la seconda.

Il cristianesimo deve diventare debole per poter rivelare il mistero dell’Incarnazione ma deve diventare forte per rivelare il mistero dell’Incarnazione. Se inizialmente occorre dare spazio al bambino, rimuovere ciò che impedisce la sua deposizione, l’infinito che diventa finito, successivamente il potere non farà sconti, chiederà ragione di questo messia.

Oggi nel mondo occidentale è difficile vivere il Natale: le visioni alternative alla vita consumistica non interessano. Non abbiamo più la forza di celebrare il Natale. I buoni sentimenti li lasciamo ai film di Natale. I problemi economici, affettivi, politici, sociali meritano altre soluzioni. Fallimentari ma rassicuranti. Il Natale è un rito che ha stancato, ormai disidratato, senza linfa vitale, risucchiato in una logica commerciale che lo ha reso la festa di tutti, perciò di nessuno. Una volta a Natale si mangiava bene, il cibo sapeva di Natale. Oggi si mangia bene tutto l’anno o semplicemente mai. Il cibo ha perso sapore: il ricordo della pasta ammassata dalle mani rugose della nonna è ormai sbiadito. I bambini non rallegrano più le feste: non ci sono più bambini. Non ci sono più feste.

Il Natale è stato sommerso dal benessere. Non c’è spazio per una mangiatoia. Abbiamo rimosso dalla nostra vita la parte tenebrosa, selvatica, sporca. Abbiamo pulito la stalla, non c’è più mangiatoia. Forse l’abbiamo semplicemente spostata. La postiamo sui social con l’illusione di essere compatiti. Abbiamo abbellito il Natale: non c’è più rifiuto, preoccupazione, freddo, paura, vergogna, solitudine. Impotenza. Due genitori in cerca di un posto dove far nascere un bambino, in una notte oscura. Povera. Non è retorica. Non è moralismo.

Senza povertà non c’è Natale. Ogni bambino che viene al mondo è povero. Ha bisogno di tutto. Tutti i bambini nascono allo stesso modo. Dopo la nascita vengono rivestiti, abbelliti, nutriti, forse amati. Ma tutti nascono nello stesso modo. Piccoli e piangenti. Così Dio. In questa notte ricordiamo il dramma dell’Incarnazione. Dio ha accettato anche questa condizione estrema di bisogno. La nostra condizione. La condizione del Natale. Cosa possiamo opporre alla logica contraria del crescente? Come possiamo resistere alla tentazione di fare la nostra vita? Come può fiorire la vita dove la paura della morte non lascia alcuno spazio?

L’umanità rifiuta l’umanità. È l’ulteriore paradosso: «venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto». Per tutta la vita avremo questo problema: la nostra miseria contro la ricchezza del mondo. Ricchezza materiale o ideale. Per tutta la vita cercheremo di conservare o rifiutare quest’unico momento di bisogno in cui siamo venuti al mondo. Nudo uscì dal seno di mia madre e nudo vi ritornerò. Sarà vero? Sarà falso? Seppure riuscissimo ad entrare nel mistero della povertà, nell’indigenza materiale e spirituale, avremmo la forza necessaria per portarla al mondo, per vincere la continua e incessante fame di potere che ci assale? La nostra povertà diventerebbe un alibi per non testimoniare, per non comprometterci, per non amare? La nostra povertà diventerebbe un segno del Natale?

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