Siamo da poco entrati nella stagione estiva, bella e dannata. Tempo di riposo e tempo di sfrenatezza, spazio di incontro e spazio di sopraffazione. La cronaca ci presenta l’omicidio efferato di un adolescente: al parco si va a giocare, non a morire. Siamo tutti frastornati, risvegliati dopo un lungo sonno. Viviamo in un mondo nichilista creato non dai giovani ma dagli adulti.
Non ci sono più i ragazzi di una volta…guarda come si vestono, cosa ascoltano, non hanno più valori, sono apatici, cinici, violenti…
Non ci sono più gli adulti di una volta. Viviamo in una società che ha divorato la giovinezza. Quando finisce la giovinezza? Quando possiamo ritirarci dalla pista, dal consumismo, dalle droghe, dall’insostenibile diritto alla felicità? A trent’anni ? Quaranta? Settanta? Voglio sentirmi ancora giovane, voglio prendermi cura di me stesso, voglio ancora dinamismo… Chi paga il prezzo dell’eterna giovinezza? Questa costante fuga dai doveri, dalle responsabilità, dall’accettare che l’eterna giovinezza la pagano soprattutto i bambini e gli adolescenti, coloro che cercano negli occhi di noi adulti un senso, un motivo per cui vale la pena vivere e vale la pena morire, cioè spendersi interamente per qualcosa o per qualcuno. Questo ideale di benessere evolutivo lo trasmettiamo con il latte materno: nella vita cerca di emergere, primeggiare, impara le lingue, fai cinque sport contemporaneamente, diventa musicista, la scienza, usa bene il computer. Poi arriva l’età in cui gli adulti dovrebbero parlare al cuore, educare i sentimenti, il momento in cui bisogna rimanere in silenzio per affiancare i giovani e invece li abbandoniamo alla solitudine di uno smartphone. Arrangiatevi. A quel punto sarebbe più onesto dire: figlio mio non c’è bellezza al mondo, io non l’ho trovata, andiamo a cercarla insieme.
Quale bellezza salverà il mondo? E se noi adulti dovessimo cambiare prospettiva, se avessimo bisogna di una profonda conversione per intraprendere una nuova ricerca di senso? Fëdor Dostoèvskij descrive nel suo celebre romanzo L’idiota, un viaggio escatologico. Il protagonista del romanzo, il principe Myškin, è un idiota molto particolare: un ingenuo (una sorta di Candide), buono in ogni sua cellula, così convinto che la bellezza possa salvare il mondo da essere, per questo, considerato, dalle persone normali, un socialmente disadattato, un mentecatto, un malato di idiozia. La bontà è un valore da recuperare, la bontà come passaggio da un amore narcisista ad un amore puro, il passaggio dall’eros all’agape. Ci sono adulti capaci di educare i giovani in questo modo rivoluzionario? O forse non ci sono più gli adulti di una volta? L’idiota non è soltanto buono, puro, incapace di fare il male ma è anche intelligente: riesce a comprendere la trama del reale. Sa dare ad ognuno il suo spazio, non è tormentato dalla moda, sa cogliere gli spunti che possono costituire nella vita le vie d’uscita da situazioni all’apparenza senza sbocco ed infelici. Per questo la sua bontà sembra una diretta conseguenza della sua capacità di capire e la sua capacità di capire è una conseguenza della sua capacità di amare. Chi annuncia ai giovani oggi: nella vita l’importante è amare…impara ad amare la vita, impara ad amare gli altri e, perché no, impara ad amare Dio?
Il bambino è idiota (etimologicamente ignorante), non sa (ancora) come funziona il mondo, non ha toccato il frutto proibito. Per questo l’infanzia deve essere rivalutata nella sua integralità: è il tempo della costruzione dell’umanità. La bellezza chiaroveggente del bambino deve essere liberata in ognuno di noi. Il mondo è dei buoni.
Imparare ad Amare..il valore più bello per cui vivere!!
Grazie per l’articolo che invita il mondo adulto a riflettere!